Sentenza della Corte del 6 ottobre 1982, srl Cilfit e Lanificio di Gavardo spa contro Ministero della sanità, causa 283/81.

“7 Tale obbligo di adire la Corte rientra nell’ambito della cooperazione istituita al fine di garantire la corretta applicazione e l’interpretazione uniforme del diritto comunitario, nell’insieme degli Stati membri, fra i giudici nazionali, in quanto incaricati dell’applicazione delle norme comunitarie, e la Corte di giustizia. L’art. 177, 3° comma, mira, più in particolare, ad evitare che si producano divergenze giurisprudenziali all’interno della Comunità su questioni di diritto comunitario. La portata di tale obbligo va pertanto valutata tenendo conto di tali finalità in funzione delle competenze rispettive dei giudici nazionali e della Corte di giustizia, allorché una siffatta questione interpretativa viene sollevata ai sensi dell’art. 177.

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9 Al riguardo, va innanzitutto rilevato che l’art. 177 non costituisce un rimedio giuridico esperibile dalle parti di una controversia pendente dinanzi ad un giudice nazionale. Non basta quindi che una parte sostenga che la controversia pone una questione di interpretazione del diritto comunitario perché il giudice interessato sia obbligato a ritenere configurabile una questione sollevata ai sensi dell’art. 177. Per contro spetta a detto giudice adire, se del caso, d’ufficio la Corte di giustizia.

10 In secondo luogo, dal rapporto fra i commi 2 e 3 dell’art. 177 discende che i giudici di cui al 3° comma dispongono dello stesso potere di valutazione di tutti gli altri giudici nazionali nello stabilire se sia necessaria una pronuncia su un punto di diritto comunitario onde consentir loro di decidere. Tali giudici non sono pertanto tenuti a sottoporre alla Corte una questione di interpretazione di norme comunitarie sollevata dinanzi ad essi se questa non è pertinente, vale a dire nel caso in cui la sua soluzione, qualunque essa sia, non possa in alcun modo influire sull’esito della lite.

11 Per contro, ove essi accertino la necessità di ricorrere al diritto comunitario al fine di risolvere la controversia di cui sono investiti, l’art. 177 impone loro l’obbligo di deferire alla Corte di giustizia qualsiasi questione di interpretazione che venga in essere.

12 La questione sollevata dalla Corte di cassazione mira a stabilire se, in determinate circostanze, l’obbligo sancito dall’art. 177, 3° comma, possa tuttavia incontrare dei limiti .

13 Va richiamato al riguardo quanto la Corte ha affermato nella sentenza 27 marzo 1963 (cause 28-30/62, Da Costa, Racc. pag. 73 ): “se l’art. 177, ultimo comma, impone, senza restrizioni, ai fori nazionali le cui decisioni non sono impugnabili secondo l’ordinamento interno, di deferire alla Corte qualsiasi questione d’interpretazione davanti ad essi sollevata, l’autorità dell’interpretazione data dalla Corte ai sensi dell’art. 177 può tuttavia far cadere la causa di tale obbligo e così renderlo senza contenuto. Ciò si verifica in ispecie qualora la questione sollevata sia materialmente identica ad altra questione, sollevata in relazione ad analoga fattispecie, che sia gia stata decisa in via pregiudiziale”.

14 Lo stesso effetto, per quanto riguarda i limiti dell’obbligo contemplato nell’art. 177, 3° comma, può risultare da una giurisprudenza costante della Corte che, indipendentemente dalla natura dei procedimenti da cui sia stata prodotta, risolva il punto di diritto litigioso, anche in mancanza di una stretta identità fra le materie del contendere .

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16 Infine, la corretta applicazione del diritto comunitario può imporsi con tale evidenza da non lasciar adito ad alcun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione sollevata. Prima di giungere a tale conclusione, il giudice nazionale deve maturare il convincimento che la stessa evidenza si imporrebbe anche ai giudici degli altri Stati membri ed alla Corte di giustizia. Solo in presenza di tali condizioni il giudice nazionale puo astenersi dal sottoporre la questione alla Corte risolvendola sotto la propria responsabilità.

17 Tuttavia, la configurabilità di tale eventualità va valutata in funzione delle caratteristiche del diritto comunitario e delle particolari difficoltà che la sua interpretazione presenta.

18 Va innanzitutto considerato che le norme comunitarie sono redatte in diverse lingue e che le varie versioni linguistiche fanno fede nella stessa misura: l’interpretazione di una norma comunitaria comporta quindi il raffronto di tali versioni.

19 Deve poi osservarsi, anche nel caso di piena concordanza delle versioni linguistiche, che il diritto comunitario impiega una terminologia che gli è propria. D’altronde, va sottolineato che le nozioni giuridiche non presentano necessariamente lo stesso contenuto nel diritto comunitario e nei vari diritti nazionali.

20 Infine, ogni disposizione di diritto comunitario va ricollocata nel proprio contesto e interpretata alla luce dell’insieme delle disposizioni del suddetto diritto, delle sue finalità, nonché del suo stadio di evoluzione al momento in cui va data applicazione alla disposizione di cui trattasi.

21 Tenuto conto di tutte queste considerazioni, la questione proposta dalla Corte suprema di cassazione va cosi risolta : l’art. 177, 3° comma, va interpretato nel senso che una giurisdizione le cui decisioni non sono impugnabili secondo l’ordinamento interno e tenuta, qualora una questione di diritto comunitario si ponga dinanzi ad essa, ad adempiere il suo obbligo di rinvio, salvo che non abbia constatato che la questione non è pertinente, o che la disposizione comunitaria di cui è causa ha gia costituito oggetto di interpretazione da parte della Corte, ovvero che la corretta applicazione del diritto comunitario si impone con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi; la configurabilità di tale eventualità va valutata in funzione delle caratteristiche proprie del diritto comunitario, delle particolari difficoltà che la sua interpretazione presenta e del rischio di divergenze di giurisprudenza all’interno della Comunità”.