“42. Come risulta dall’art. 300, n. 7, CE, le istituzioni della Comunità sono vincolate dagli accordi conclusi da quest’ultima e, di conseguenza, tali accordi prevalgono sugli atti di diritto comunitario derivato (v., in questo senso, sentenze 10 settembre 1996, causa C-61/94, Commissione/Germania, Racc. pag. I-3989, punto 52, e 12 gennaio 2006, causa C-311/04, Algemene Scheeps Agentuur Dordrecht, Racc. pag. I-609, punto 25).
43. Ne consegue che l’incompatibilità di un atto di diritto comunitario derivato con siffatte disposizioni del diritto internazionale può incidere sulla sua validità. Qualora tale invalidità sia fatta valere dinanzi ad un giudice nazionale, la Corte verifica quindi, in applicazione dell’art. 234 CE, la validità dell’atto comunitario in esame alla luce di tutte le norme del diritto internazionale, purché siano rispettate due condizioni.
44. In primo luogo, la Comunità deve essere vincolata da tali norme (v. sentenza 12 dicembre 1972, cause riunite 21/72-24/72, International Fruit Company e a., Racc. pag. 1219, punto 7).
45. In secondo luogo, la Corte può procedere all’esame della validità di una normativa comunitaria alla luce di un trattato internazionale solo ove ciò non sia escluso né dalla natura né dalla struttura di esso e, inoltre, le sue disposizioni appaiano, dal punto di vista del loro contenuto, incondizionate e sufficientemente precise (v., in questo senso, in particolare, sentenza 10 gennaio 2006, causa C-344/04, IATA e ELFAA, Racc. pag. I-403, punto 39). […]
49. Vero è che tutti gli Stati membri della Comunità sono parti contraenti della convenzione Marpol 73/78. Tuttavia, in mancanza di un integrale trasferimento alla Comunità delle competenze precedentemente esercitate dagli Stati membri, quest’ultima non può, per il semplice fatto che tutti questi Stati sono parti contraenti della convenzione Marpol 73/78, essere vincolata dalle norme in essa contenute, che la Comunità non ha autonomamente approvato.
50. Posto che la Comunità non è vincolata dalla convenzione Marpol 73/78, neanche la circostanza che la direttiva 2005/35 sia volta a incorporare nel diritto comunitario talune norme contenute in quest’ultima è sufficiente, di per sé, affinché la Corte sia tenuta a sindacare la legittimità di tale direttiva alla luce della detta convenzione.
51. È vero che, come risulta da una giurisprudenza consolidata, le competenze della Comunità devono essere esercitate nel rispetto del diritto internazionale, comprese le disposizioni delle convenzioni internazionali quando codificano norme consuetudinarie sancite dal diritto internazionale generale (v., in questo senso, sentenze 24 novembre 1992, causa C-286/90, Poulsen e Diva Navigation, Racc. pag. I-6019, punti 9 e 10; 24 novembre 1993, causa C-405/92, Mondiet, Racc. pag. I-6133, punti 13-15, e 16 giugno 1998, causa C-162/96, Racke, Racc. pag. I-3655, punto 45). Tuttavia, non risulta che le norme 9 e 11, lett. b), dell’allegato I della convenzione Marpol 73/78, nonché 5 e 6, lett. b), dell’allegato II di tale convenzione costituiscano espressione di norme consuetudinarie sancite dal diritto internazionale generale.
52. Pertanto, è giocoforza constatare che la validità della direttiva 2005/35 non può essere valutata alla luce della convenzione Marpol 73/78, sebbene questa sia vincolante per gli Stati membri. Quest’ultima circostanza, tuttavia, può produrre conseguenze sull’interpretazione, da una parte, della convenzione di Montego Bay e, dall’altra, delle disposizioni del diritto derivato che rientrano nell’ambito di applicazione della convenzione Marpol 73/78. Infatti, alla luce del principio consuetudinario della buona fede, che fa parte del diritto internazionale generale, e dell’art. 10 CE, la Corte deve interpretare tali disposizioni tenendo conto della convenzione Marpol 73/78.
53. In secondo luogo, per quanto riguarda la convenzione di Montego Bay, essa è stata sottoscritta dalla Comunità e poi approvata con decisione 98/392, con la conseguenza che vincola la Comunità, e che le disposizioni di tale convenzione, da quel momento, formano parte integrante dell’ordinamento giuridico comunitario (v., sentenza 30 maggio 2006, causa C-459/03, Commissione/Irlanda, Racc. pag. I-4635, punto 82).
54. Occorre pertanto verificare se la natura e la struttura della convenzione di Montego Bay, come emergono, in particolare, dalla finalità, dal preambolo e dai termini di quest’ultima, non ostino all’esame della validità degli atti comunitari alla luce delle disposizioni di tale convenzione.
55. Lo scopo principale della convenzione di Montego Bay è quello di codificare, precisare e sviluppare norme di diritto internazionale generale relative alla pacifica cooperazione della comunità internazionale nell’ambito dell’attività di esplorazione, di utilizzo e di sfruttamento degli spazi marittimi. […]
58. Per tutti questi spazi marittimi, tale convenzione mira a stabilire un giusto equilibrio tra gli interessi degli Stati nella loro qualità di Stati rivieraschi e gli interessi degli Stati nella loro qualità di Stati di bandiera, interessi che possono essere contrapposti. A tale proposito, le parti contraenti, come emerge da varie disposizioni della detta convenzione, quali gli artt. 2, 33, 34, n. 2, 56 o 89, intendono fissare i limiti materiali e territoriali dei loro rispettivi diritti sovrani.
59. Al contrario, i singoli, in linea di principio, non godono di diritti e di libertà autonome in forza della convenzione di Montego Bay. In particolare, essi possono usufruire della libertà di navigazione solamente se stabiliscono uno stretto rapporto tra la loro nave e uno Stato che attribuisce a quest’ultima la sua nazionalità divenendo così il suo Stato di bandiera. Tale rapporto deve essere costituito ai sensi del diritto interno del detto Stato. A questo proposito, l’art. 91 di detta convenzione precisa che ogni Stato stabilisce le condizioni che regolamentano la concessione alle navi della sua nazionalità, l’immatricolazione delle navi nel suo territorio e il diritto di battere la sua bandiera, fermo restando che fra tale Stato e le dette navi deve esistere un legame effettivo. […]
62. Allo stesso modo, è lo Stato di bandiera che è obbligato, ai sensi della detta convenzione, a adottare tutte le misure necessarie a salvaguardare la sicurezza in mare e, di conseguenza, a tutelare gli interessi degli altri Stati. Pertanto, tale Stato può anche essere ritenuto responsabile, nei confronti degli altri Stati, dei danni causati da navi battenti la sua bandiera agli spazi marini soggetti alla sovranità di questi ultimi, quando tali danni siano la conseguenza di un inadempimento dei propri obblighi da parte dello Stato di bandiera.
63. L’analisi che precede non è invalidata dalla circostanza che la parte XI della convenzione di Montego Bay associ le persone fisiche e giuridiche all’esplorazione, all’utilizzo e allo sfruttamento del fondo del mare e del relativo sottosuolo al di là dei limiti della giurisdizione nazionale, in quanto la causa in esame non riguarda affatto le disposizioni di tale parte XI.
64. In tali circostanze, occorre dichiarare che la convenzione di Montego Bay non stabilisce norme destinate ad applicarsi direttamente ed immediatamente ai singoli né a conferire a questi ultimi diritti o libertà che possano essere invocati nei confronti degli Stati, indipendentemente dal comportamento dello Stato di bandiera della nave.
65. Ne risulta che la natura e la struttura della convenzione di Montego Bay ostano a che la Corte possa valutare la validità di un atto comunitario alla luce di tale convenzione”.